Molti pensano che la gestione dei colori sulle diverse periferiche sia complessa, ma in realtà per ottenere dei risultati soddisfacenti, basta poco lavoro. I colori sia per chi fa il grafico sia per chi si occupa di fotografia sono estremamente importanti e per lavorarci adeguatamente è necessario conoscerli. In questa prima puntata esamineremo lo spazio dei colori.
Gestione dei colori
È illusorio supporre che tutti gli strumenti della catena grafica possano distinguere i colori allo stesso modo. Occorre pertanto stabilire un sistema universale in grado di comunicare le caratteristiche di riproduzione colorimetrica di ciascuna periferica e ciò lungo tutta la catena di elaborazione e riproduzione.
L’ICC (International Color Consortium), associazione che raggruppa i principali operatori nel settore grafico, ha messo a punto un sistema che opera tramite l’impiego di profili, vere e proprie “carte di identità” che descrivono il comportamento colorimetrico degli apparecchi (scanner, fotocamere digitali, monitor, stampanti e così via) e pertanto l’ampiezza dei colori riproducibili (gamut) entro condizioni di utilizzo ben precise. Per esempio, la fotocamera digitale non è in grado di riprodurre tutti i colori dello spettro visibile, in quanto il sensore è in grado di rilevare solo una parte di essi.
Il profilo ICC descrive esattamente le capacità di riproduzione di ogni periferica, con caratteristiche molto differenti. Un motore di conversione (color engine) si occupa poi di armonizzare i valori colorimetrici degli apparecchi, al fine di ottenere una visualizzazione o una riproduzione il più possibile fedele in tutti gli anelli della catena grafica. Rileverete probabilmente ancora delle differenze di colori fra ciò che presenta il monitor e ciò che uscirà dalla stampante, in quanto i procedimenti impiegati sono troppo differenti (colori RGB per la cattura e la visualizzazione dell’immagine, inchiostri CMYK per la stampa), ma almeno otterrete risultati riproducibili e stabili, senza essere costretti a ripetute prove.
Oggi i sistemi operativi Mac OS, Windows e Unix integrano sistemi di gestione dei colori per venire incontro alle esigenze degli utenti. Le nuove versioni dei principali software di elaborazione dell’immagine (Photoshop, Photoshop Elements, Picture Window Pro, Paintshop Pro, PhotoRetouch Pro, Gimp, Cine Paint) sono inoltre dotati di un motore di conversione che permette di intervenire correttamente sui colori, dallo scatto fino alla stampa.
La gestione dei colori è un concetto molto recente. Dopo aver attraversato l’oceano Atlantico nel corso degli anni novanta, ha dovuto attendere qualche anno prima di entrare nelle abitudini di lavoro di coloro che si occupano della catena grafica. Ancora oggi, parlare di gestione dei colori genera una levata di scudi da parte di alcuni fotografi. Forse ciò è dovuto al fatto che la gestione dei colori soffre di una cattiva reputazione, in quanto si ritiene complessa da utilizzare. Occorre dire che non è affatto necessario operare in modo maniacale o virtuoso per gestire correttamente un sistema di gestione dei colori; tuttavia è necessaria un’introduzione seria all’argomento.
Si incontra dello scetticismo anche da parte dei fotografi, che dubitano dell’efficacia della gestione dei colori e che vantano le doti di un sistema basato su regolazioni manuali (e pertanto empiriche). Un operatore che abbia l’abitudine di lavorare sui numeri, ovvero sui valori RGB o CMYK rilevati con il contagocce, non ha evidentemente bisogno di un monitor ben calibrato per eseguire le correzioni. Ma siamo onesti: solo una piccola parte di noi giunge a risultati corretti. La grande maggioranza dei fotografi si fida al contrario dell’immagine presentata sul monitor, la quale è raramente in grado di restituire una riproduzione fedele dell’originale.
La calibrazione dello schermo è una prima fase inevitabile: solo in questo modo potremo essere sicuri che i colori visualizzati dallo schermo corrispondano a quelli effettivi dell’immagine. Non vale la pena di fare economia in questo senso, soprattutto per il fatto che alcuni colorimetri sono ormai proposti a meno di un centinaio di euro!
Anche se solo raramente è necessario creare profili per la fotocamera (la maggior parte dei software integra già profili generici di una qualità soddisfacente per la maggior parte dei fotografi), spesso è opportuno costruire (o far costruire) profili personalizzati per la stampante, soprattutto per impiegare supporti di stampa particolari o poco diffusi.
Al giorno d’oggi sfruttiamo una moltitudine di strumenti e/o di operatori per la finitura e il ritocco delle fotografie; per ottenere dei risultati prevedibili e riproducibili, esiste una sola alternativa: la gestione dei colori e i profili ICC. Ecco alcune definizioni e alcuni consigli utili per comprendere a grandi linee le indicazioni di base e i parametri e per scegliere correttamente l’impostazione del sistema di elaborazione, adottando pratiche adatte alle problematiche fotografiche.
Gli spazi dei colori
Ancor prima di poter parlare di spazi di lavoro, è indispensabile presentare gli spazi di colori, richiamabili in Photoshop tramite il comando Immagine > Metodo. Nella fotografia digitale vengono impiegati tre spazi di colori: Lab, RGB e CMYK.
Il metodo Colore Lab
Il metodo CIE Lab descrive i colori tramite l’impiego di tre componenti: L (luminosità), A (un asse che va dal verde al rosso) e B (un asse che va dal blu al giallo). Il metodo Lab è indipendente da tutti gli strumenti della catena grafica e rappresenta tutti i colori percepibili dall’occhio umano. Tuttavia è molto pericoloso manipolare i colori di un file in modalità Lab: non tutti i colori possono infatti essere riprodotti sullo schermo. Ma poiché il metodo Lab permette di separare le informazioni del colore dalle informazioni della luminanza (le sfumature tra nero e bianco) di una fotografia, può essere molto utile per aumentare il contrasto di un’immagine senza saturarne i colori oppure per accentuare un’immagine senza aumentare il rumore cromatico.
Il metodo Colore RGB
Il metodo RGB è il più utilizzato, in quanto la maggior parte degli strumenti di elaborazione (fotocamere, scanner, monitor, stampanti fotografiche e stampanti d’ufficio) opera proprio in questa modalità. Questo metodo si basa su un modello additivo: la sovrapposizione dei colori primari (rosso, verde e blu) produce il bianco. I valori RGB 0, 0, 0 indicano un nero profondo, i valori RGB 255, 255, 255 un bianco carta; solo i valori intermedi variano a seconda dello spazio dei colori e della gamma. Questi valori fanno riferimento a uno spazio RGB a 8 bit per canale, ovvero 256 livelli. Il metodo RGB è il più utilizzato nel mondo dell’immagine. Potete anche notare che anche le stampanti “fotografiche” che dispongono di più di quattro colori, gestiscono comunque le informazioni inviate tramite un file RGB.
Il metodo Colore CMYK
Il metodo CMYK offre tre colori primari (ciano, magenta e giallo), più un quarto “colore”, il nero, chiamato “K” (key color, colore chiave). Il metodo CMYK impiega un modello sottrattivo: la sovrapposizione dei tre colori CMY dovrebbe produrre il nero. In realtà, si ottiene solamente un grigio molto scuro; per questo motivo, per ottenere una densità massima soddisfacente, ai tre colori è stato aggiunto l’inchiostro nero.
Il metodo CMYK domina l’universo della stampa professionale. Anche se Photoshop offre una funzione per convertire un file RGB in CMYK (Immagine > Metodo > Colore CMYK), l’operazione è molto complessa e produce una perdita di sfumature anche importanti. Per operare correttamente, dovete inoltre conoscere le caratteristiche del metodo di stampa e della carta che intendete utilizzare (colore, assorbimento, parametri di separazione, densità del nero), informazioni che potete ottenere solo dal vostro stampatore. Vi consigliamo comunque di lasciare svolgere la conversione da RGB a CMYK agli specialisti.
Cattura digitale e profili ICC
La gestione dei colori funziona solo ove sia stata definita ogni periferica della catena; ognuna delle periferiche deve comunicare la propria percezione dei colori tramite un profilo ICC. I colori di un file grafico non possono pertanto essere visualizzati o stampati correttamente se il file non possiede un profilo.
Se optate per il salvataggio in formato JPEG o TIFF, l’apparecchio convertirà i dati colorimetrici dello spazio nativo verso lo spazio Adobe RGB 1998 o sRGB e poi assocerà alle immagini il profilo ICC. Spesso, l’apparecchio consente anche di scegliere fra più rese cromatiche, ottimizzate in base al soggetto fotografato (ritratto, paesaggio, natura morta).
Al contrario, se operate in formato RAW al momento dello scatto, sarà il software di elaborazione RAW a incaricarsi della compensazione della visualizzazione (un’immagine RAW è normalmente molto scura, a causa della sua gamma lineare di 1,0) e dell’attribuzione di un profilo colore. Al momento dello sviluppo, questa compensazione della visualizzazione viene poi applicata per produrre un file TIFF o JPEG dotato di colori naturali. Mentre la maggior parte dei software integra dei profili per apparecchi generici, alcuni consentono di utilizzare un profilo personalizzato, creato con il software di conversione (SilverFast DC Pro) o tramite l’impiego di un software specializzato (ProfileMaker, Eye-One Match, LProf, basICColor e così via). In alcuni casi, se avete dedicato molta attenzione alla sua creazione, questo profilo sarà superiore in termini di qualità al profilo predefinito; ciononostante, la sua creazione si impone solo da parte dei fotografi alla ricerca di una fedeltà perfetta dei colori (per la riproduzione di opere artistiche, per esempio) e che dispongono di condizioni di illuminazione stabili e riproducibili.
Autore: Volker Gilbert – Tratto da: Fotografia RAW con Photoshop – Apogeo